‘Neutralità competitiva’: il principio cardine dell’economia cinese futura
I policy makers cinesi dovrebbero adottare il principio di ‘neutralità competitiva’ nel gestire il settore statale nazionale per risolvere i problemi strutturali dell’economia del paese.
Ad introdurre il concetto di ‘neutralità competitiva’ nel discorso politico-economico del paese è stato Yi Gang, governatore della Banca Popolare della Cina, durante il vertice G-20 tenutosi lo scorso ottobre. Yi Gang ha affermato che il governo si impegnerà a prendere in considerazione il principio di ‘neutralità competitiva’ nel trattare le imprese statali con l'obiettivo di risolvere i problemi strutturali dell'economia cinese.
L’osservazione del governatore Yi, ovvero la riforma del settore statale cinese in quanto obiettivo imprescindibile di qualsiasi politica economica futura, è certamente accurata, soprattutto nel contesto odierno di rallentamento della crescita economica del paese. Tuttavia, fino all’ottobre scorso la nozione di ‘neutralità competitiva’ non era ancora entrata nel lessico delle figure istituzionali responsabili della governance economica nazionale.
Secondo l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE), la neutralità della concorrenza è un principio fondamentale del diritto e della politica della concorrenza stessa, secondo cui le imprese dovrebbero competere per merito e non dovrebbero trarre indebiti vantaggi dalla loro nazionalità o proprietà commerciale.
Nonostante il concetto di ‘neutralità competitiva’ sia stato originariamente concepito in Australia negli anni ‘90, l’OCSE ha soltanto fatto proprio questo termine nel 2011. Da allora ‘competitive neutrality’ è diventato un principio di tendenza tra i maggiori esponenti delle politiche economiche occidentali.
Si noti, peraltro, che la ‘neutralità competitiva’ non è che un nuovo termine per descrivere l'antico concetto di ‘parità’. Il significato che dovremmo quindi attribuirgli oggi è quello di una concorrenza leale volta a porre tutte le imprese, siano esse di proprietà statale, privata od estera, in condizioni di parità. Purtroppo, per ciò che concerne il trattamento delle imprese sia straniere sia private nei confronti dei colossi statali del paese, tale nozione rimane da realizzarsi pienamente in Cina.
Le imprese statali cinesi si trovano ancora in una posizione privilegiata rispetto ad altri tipi di società, potendo accedere ad una miriade di sovvenzioni e potendo operare in un contesto orientato a loro favore. Tuttavia, le cosiddette ‘State-Owned Enterprises’ (SOEs) non rappresentano più il motore economico di una volta ed il loro rendimento spesso inefficiente rischia di diventare un freno per l'economia cinese. Inoltre, i loro poteri monopolistici smorzano le forze di mercato, impedendo così ad imprese economiche più innovative di affermarsi nel quadro commerciale del paese—imprese, le quali oggi rappresentano quasi interamente il settore privato.
Oggi le Privately-Owned Enterprises (POEs), o imprese di proprietà privata, non costituiscono soltanto i principali motori dell’innovazione nazionale, ma sono anche protagonisti sempre più competitivi nel mercato estero. Esse sono infatti diventate la forza trainante della crescita produttiva nazionale, della creazione di posti di lavoro e delle entrate fiscali del paese. Ciononostante, le POEs, specialmente le piccole e medie imprese, sono ordinariamente surclassate dai loro concorrenti statali. Adottare il principio di ‘competitive neutrality’ nel trattamento delle imprese statali apporterebbe quindi il notevole vantaggio di rimuovere gli ostacoli concorrenziali che precludono la piena realizzazione del potenziale innovativo della Cina.
L’adesione al principio di ‘neutralità competitiva’ potrà inoltre rivelarsi cruciale al fine di risolvere i problemi strutturali radicati nell’economia cinese. Essi sono molteplici ed includono un eccesso della capacità produttiva in svariati settori, un accumulo di debito societario, ed una serie di altri problemi fiscali nel contesto di una crescita economica assai più moderata. Innegabilmente, risolvere tali questioni richiederà una notevole risolutezza da parte dei policy makers della nazione.
Il fatto che le autorità competenti siano particolarmente abili nel gestire l’incertezza economica è un ottimo punto di partenza affinché esse possano attuare le riforme di cui il paese necessita. Le stesse autorità dispongono inoltre di precise tracce normative da seguire contenute sia nel rapporto Cina 2030 pubblicato dalla Banca Mondiale e dalla think tank del Consiglio di Stato cinese, sia nel comunicato finale del terzo Plenum del Partito comunista rilasciato nel novembre 2013. Entrambi questi documenti presentano un gran numero di proposte normative che collimano con la definizione della neutralità della concorrenza proposta dall’OCSE.
Seguire gli schemi riportati nei suddetti documenti consentirà ai policy makers cinesi di attuare politiche mirate a beneficiare l’economia cinese futura. Le autorità potrebbero perseguire la ‘neutralità competitiva’ in linea con i principi dell’OCSE e mettere in moto, così, un autentico piano di riforma delle SOEs. Potrebbero inoltre attuare politiche olistiche di accesso al mercato domestico capaci di abbattere le barriere, dirette ed indirette, al commercio della seconda economia mondiale. Potrebbero, infine, dare seguito ai piani ripetutamente annunciati, volti a riconoscere e a concedere il decollo di un’economia di mercato. Idealmente, i politici cinesi dovrebbero compiere ciascuna di queste azioni.
I problemi strutturali della Cina sono profondamente radicati nell'economia del paese e risolverli comporterà l’attuazione di un profondo quanto atteso programma di riforme del settore statale del paese. Parte integrante di tale impegno politico sarà insita nella creazione di condizioni di parità competitiva per tutte le imprese attive sul mercato cinese. È sempre più evidente, nella fase attuale di sviluppo economico della Cina, che concorrenza leale e crescita economica siano strettamente legate l’una all’altra. In futuro, un forte livello di crescita economica dipenderà da un trattamento equo di ciascuna tipologia aziendale. Esso dipenderà, in breve, dalla determinazione dei policy makers cinesi nell’adottare la ‘neutralità competitiva’.
Detto ciò, l’Unione Europea non dovrebbe semplicemente aspettare che la Cina apporti questi cambiamenti, soprattutto alla luce delle distorsioni del commercio che le SOEs cinesi, penetrando nel mercato europeo, alimentano. Attraverso partenariati strategici come il “Comprehensive Agreement on Investment” (CAI), l’UE dovrebbe pertanto intensificare il suo impegno con la Cina non soltanto per promuovere le riforme economiche necessarie nei settori di comune interesse, ma anche per ridurre la sovraccapacità industriale.
L’avv. Carlo Diego D’Andrea è Vicepresidente Nazionale, nonché Presidente della Sezione di Shanghai della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina (EUCCC).
Articolo pubblicato sul quotidiano Milano Finanza in data 25.09.2019