Meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM): quali sono le implicazioni per le aziende europee e le relazioni Cina-UE?

Il 18 aprile 2023, il Parlamento europeo ha approvato la legislazione per l'implementazione di un meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (Carbon Border Adjustment Mechanism, CBAM) come parte del pacchetto dell'Unione Europea (UE) "Fit for 55 in 2030", che mira a ridurre le emissioni di gas serra del 55% entro il 2030.

Grazie a questo importante cambiamento legislativo, l'UE e la Cina si trovano ad un crocevia nella corsa globale alla neutralità delle emissioni di carbonio. Perciò, sorgono le seguenti domande: dove si intersecano gli interessi della Cina e dell'UE in materia di azione per il clima? E quali saranno le conseguenze per le imprese europee e cinesi?

Gli obiettivi del CBAM

Secondo il comunicato stampa ufficiale del Parlamento europeo, il CBAM sarà implementato in fasi dal 2026 al 2034 e consentirà all'UE di imporre una tassa sulle emissioni di carbonio alle frontiere su importazioni specifiche, che inizialmente riguarderanno sei categorie di prodotti: “ferro e acciaio”, “cemento”, “alluminio”, “fertilizzanti”, “elettricità e idrogeno”, nonché le “emissioni indirette a determinate condizioni”.

Il CBAM mira a incentivare i Paesi terzi ad aumentare le proprie ambizioni in materia di rispetto del clima ed a garantire che gli sforzi dell'UE in questo ambito non siano compromessi dalla delocalizzazione della produzione dall'UE verso Paesi con politiche meno ambiziose. Da entrambi i punti di vista, il CBAM ha il duplice scopo di evitare che le imprese dell'UE spostino la loro produzione in luoghi con politiche climatiche meno rigorose al di fuori del territorio - uno scenario noto come "rilocalizzazione delle emissioni di carbonio" - e di livellare le condizioni di concorrenza tra le imprese dell'UE e quelle d'oltremare su alcuni prodotti ad alta intensità di emissioni, equiparando i prezzi del carbonio pagati per i prodotti dell'UE e per le importazioni.

Durante un periodo di transizione che va dall'ottobre 2023 al dicembre 2025, i produttori extra-UE saranno tenuti a comunicare le proprie emissioni, fornendo certificati CBAM in base alle emissioni delle loro importazioni. Dopodiché, dal 2026 al 2034 verrà introdotta gradualmente un'imposta, il che significa che gli importatori dell'UE dovranno pagare per i beni da importare che riflettono le emissioni generate nel produrli.

CBAM e Cina

Al momento della stesura del presente articolo, le esportazioni cinesi di prodotti che potrebbero rientrare nel CBAM rappresentano meno del 2% delle esportazioni totali verso l'UE, per un valore di circa 6,5 miliardi di euro. Recenti studi hanno indicato che le industrie cinesi dell'alluminio e del ferro e dell'acciaio dovrebbero pagare all'UE un totale di 2-2,8 miliardi di RMB (equivalenti a circa 264-343 milioni euro) di tasse sulle emissioni di carbonio ogni anno. Ciò significherebbe probabilmente sostenere maggiori costi, che potrebbero essere trasferiti attraverso un aumento dei prezzi.

Pertanto, per rimanere competitivi e mantenere la quota di mercato, i produttori potrebbero dover trovare il modo di ridurre l'intensità di carbonio dei loro prodotti, migliorando l'efficienza energetica, utilizzando combustibili a più basso contenuto di carbonio e ottimizzando i processi produttivi, il che rappresenta un passo positivo nella giusta direzione in termini di azioni di controllo del clima su entrambi i lati del divario.

CBAM e implicazioni commerciali

Per contro, il CBAM è stato oggetto di critiche da parte della Cina, che lo ha identificato come una barriera commerciale indiretta, in quanto i continui sforzi dell'UE per promuovere norme a basse emissioni di carbonio e migliorare la propria competitività industriale sono stati interpretati come politiche che limitano alcune delle industrie più vantaggiose della Cina. I funzionari del governo cinese hanno criticato il CBAM su diversi fronti, in particolare in occasione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2022 (conosciuta anche come COP 27), definendo le regole come una tassa verde sui Paesi in via di sviluppo. Da allora, la Cina ha chiesto all'Unione Europea di giustificare la tassa sulle emissioni di anidride carbonica in arrivo presso l'Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC).

La Cina ha insistito sul fatto che il CBAM non è conforme alle regole del commercio globale e ha suggerito di tenere colloqui multilaterali sulle misure ambientali. L'UE ha insistito sul fatto che il CBAM sarà compatibile con le regole del commercio globale, tuttavia, se la proposta dovesse essere accettata, l’UE dovrebbe probabilmente difendere il CBAM nei tribunali dell'OMC per motivi di legalità, obiettivi ambientali, impatto sul commercio, conformità con le regole dell'OMC e impatto sui Paesi in via di sviluppo.

Conclusione

L'introduzione del CBAM (il quale diventerà operativo a partire dall’ottobre 2023 e che rappresenta una pietra miliare del tentativo dell'UE di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050) ha il potenziale per promuovere ulteriormente l'innovazione tecnologica interna in Cina, facendo avanzare le imprese con sede in Cina nella catena del valore globale, raccogliendo così significativi benefici economici e agendo come incentivo necessario per ridurre le emissioni di carbonio.

Per le imprese già presenti sul mercato o che intendono esportare nell'UE, è necessario effettuare una valutazione delle emissioni di carbonio dei prodotti interessati e istituire reparti aziendali dedicati al CBAM, in modo da rispettare gli obblighi di rendicontazione. A livello globale, anche gli Stati Uniti, il Canada e il Regno Unito, tra gli altri, stanno valutando l'implementazione di meccanismi simili. È dunque intuibile che in futuro il commercio internazionale e la competitività di una nazione saranno misurati da un nuovo parametro, ovvero, il carbonio.

In termini di coesione tra UE e Cina, le competenze tecnologiche e l'esperienza che le aziende europee in Cina hanno accumulato lavorando sulla decarbonizzazione con gli stakeholders governativi, le organizzazioni non governative (ONG) e la società civile nei loro mercati nazionali, le mettono in una posizione forte per contribuire non solo a raggiungere gli obiettivi di emissioni zero dell'UE (neutralità climatica entro il 2050 e a partire dal 2035 tutte le auto e furgoni immatricolati nell'UE dovranno essere a emissioni zero), ma anche della Cina, che prevede di raggiungere il picco di emissioni di carbonio entro il 2030 e la neutralità climatica entro il 2060.

Come indicato nella pubblicazione della Camera Europea in Cina pubblicata lo scorso anno, “Carbon Neutrality: The Role of European Business in China's Race to 2060”, il successo della Cina dipenderà dalla sua capacità di sfruttare il maggior numero possibile di competenze. A tal fine, sarà necessario fornire alle imprese europee un maggiore accesso al mercato e condizioni di parità su cui operare, in modo che possano dare un contributo maggiore.

Un chiaro vantaggio reciproco in questo senso è che la Cina è pronta sia a ricevere sia a sviluppare le tecnologie europee. L’avanzamento del settore di ricerca e sviluppo (R&S) consente alle aziende di commercializzare nuovi prodotti più rapidamente di quanto non riescano a fare in Europa. Poiché l'ambiente dell'innovazione è in gran parte meno avverso al rischio, le aziende europee sono ulteriormente incentivate a sviluppare i loro prodotti all'interno del mercato e a contribuire alla rivoluzione carbon neutral.

A cura di: Avv. Carlo D’Andrea, Vice Presidente della Camera di Commercio dell’Unione Europea in Cina