“Italian Icons of China”, Aldo Cibic

Serie “Italian Icons of China”: una raccolta di marchi italiani di fama internazionale, scelti per condividere le loro esperienze uniche e le loro intuizioni di mercato in Cina.

 

Introduzione

Per fornire ai nostri lettori un esame approfondito di come le aziende italiane hanno operato sul mercato cinese, abbiamo iniziato la nostra serie di articoli "Italian Icons of China" conducendo interviste con alcuni dei principali amministratori delegati delle più importanti aziende italiane presenti sul mercato cinese. Parleremo delle loro storie di successo, illustrando le specificità di come avere successo nel mercato cinese in base al background della loro azienda, alla storia dei loro marchi e a come hanno gestito l'espansione del business in base ai loro specifici punti di forza e alle condizioni di mercato. Le nostre Icone forniranno anche i loro suggerimenti per il mercato cinese, per le multinazionali, le piccole e medie imprese, gli imprenditori e tutti i leader d'azienda nel mezzo, sulla base delle loro esperienze di investimento, delle differenze tra Italia e Cina e delle proiezioni future sia per la Cina che per il loro settore.

 

La nostra Icon: Aldo Cibic

 

Per il nostro terzo articolo della serie, abbiamo un'intervista esclusiva con Aldo Cibic. Nel 1989 ha fondato il Cibicworkshop, non solo uno studio di progettazione ma anche un centro di ricerca multidisciplinare, e ha iniziato a concentrarsi maggiormente su tipologie progettuali alternative e sostenibili, volte a valorizzare interi territori e a definire nuove consapevolezze culturali, emotive e ambientali dello spazio pubblico. Aldo Cibic è professore presso il College of Design and Innovation della Tongji University di Shanghai. Nel 2019 è stato selezionato come esperto straniero di alto livello dalla State Administration of Foreign Experts Affairs of China.

I suoi progetti e disegni sono esposti nelle collezioni permanenti dello Stedelijk Museum di Amsterdam, del Groninger Museum, del CCA (Canadian Center for Architecture) di Montreal, del Museo Triennale del Design Italiano di Milano e del Centre Pompidou di Parigi.

 

 

D: Da quanti anni Cibic Workshop è attivo in Cina? Perché ha voluto concentrarsi su questo mercato in particolare?

 

Ho una lunga e felice relazione con la Cina, iniziata come professore onorario allaTongji University di Shanghai nel 2004.

Dal 2018 sono diventato professore al Dipartimento di Design e Innovazione della Tongji University. dove il mio lavoro di ricerca si è concentrato sui temi sociali relativi alla rigenerazione urbana.

 

Il primo progetto che ho affrontato riguardava l’art direction della rivitalizzazione di un quartiere operaio vicino all’università, in cui andavamo ad inserire diverse attività gestite o ad uso dei giovani studenti e laureati, si tratta di laboratori per modellazione 3d, spazi per il co-working, per attività ricreative ad uso degli abitanti della nuova comunità mista, cucina comune ed altro.

Ad un certo punto, ho proposto al mio preside, professore Lou Yongqi, che se mi avesse trovato un gestore per un coffee shop con un ottimo espresso, mi sarei trasferito, unico straniero, a vivere nel quartiere.

 

È così che è nato il progetto di un minuscolo appartamento di 34 mq, che ho curato nei minimi dettagli e con un budget molto contenuto, e che, in breve tempo, si è trasformato in una sorta di manifesto per un nuovo benessere collettivo.

La mia piccola casa è diventata rapidamente un fenomeno mediatico senza precedenti, una case history protagonista di articoli, servizi televisivi e video online che hanno ricevuto milioni di visualizzazioni.

Dal punto di vista professionale in Cina attualmente mi muovo fra progetti di grande qualità. Fra gli interventi più importanti, due grandi mostre al Map di Shanghai, un museo progettato da Jean Nouvel, inaugurato due anni fa, e ad oggi il più importante del Paese.

Per quanto mi riguarda cerco di scegliere con attenzione i progetti a cui dedicarmi e lavoro su quelli che hanno un senso e un significato, con interlocutori interessanti.

 

 

D: Considerando l'immenso divario culturale tra Cina e Italia, quali sono, secondo la sua esperienza, le opportunità e le insidie?

Il divario influisce sul modo di concepire i progetti nel mercato cinese?

Oppure può essere utilizzato come strumento per trovare uno spazio più vario e creativo per i vostri progetti?

 

Amo la Cina e la sua cultura mi dà grande spazio per lavorare su progetti in cui credo. È un paese che offre molto, interessato alla ricerca, capace di concretizzare nuove idee con creatività. Nella mia vita ho viaggiato molto e ho vissuto in contesti molto diversi fra loro: in questa realtà mi trovo completamente a mio agio.

Ho la sensazione che il mio lavoro sia sempre più influenzato dalla cultura cinese, e sinceramente sento sempre meno la distanza culturale fra Oriente e Occidente. La Cina per me è il luogo che mi offre uno spazio creativo vario e stimolante.

Abbiamo avuto per molto tempo un atteggiamento diffidente riguardo al problema della proprietà intellettuale. Quello che sta succedendo è che comunque c’è sempre più richiesta del prodotto originale (non solo della copia), che, considerate le dimensioni del mercato, per noi rappresenta sempre una grande opportunità.

Avendo un osservatorio privilegiato dall’università, devo dire che le nuove generazioni di imprenditori e designer sono sempre più orientate a creare un prodotto originale.

 

 

D: In base al tema di IDI di quest'anno, qual è il ruolo delle nuove tecnologie nel design complessivo dei progetti del suo studio?

 

La tecnologia è un contenuto imprescindibile da anni, in qualsiasi progetto. Sia per il lavoro di ideazione che per quanto riguarda la parte di sviluppo di nuovi modelli di ricerca e di produzione. Ovviamente l’innovazione corre, in Cina più che in altri luoghi, ma credo che in certi contesti questo sia utile per generare delle possibilità ancora inespresse e delle soluzioni focalizzate sulla transizione ecologica. Il Design Institute of Innovation a Shanghai, un nuovo istituto di cui faccio parte, si occupa di colmare il gap tra l’università e nuovi modelli di lavoro.

Nel mio caso il lavoro è focalizzato sui nuovi materiali, in particolare sulla scalabilità produttiva e industriale di materiali nel contesto del regenerative design. In altri termini, facciamo ricerca su nuovi prodotti che riducano le emissioni, da integrare in modo significativo nell’industria per creare una vera differenza, in modo da offrire alternative sostenibili ai materiali inquinanti.

Il Design Institute of Innovation può essere descritto come una piattaforma di start-up, e allo stesso tempo uno spazio di ricerca, che mette in comunicazione il mondo accademico e il mondo del business.

 

D: Il suo studio ha implementato nei suoi progetti modus operandi particolari per il mercato cinese? Se sì, perché?

 

Il principale motivo della mia presenza in Cina è la passione per la sua cultura. Coltivo la parte più artistica del mio lavoro nei progetti personali, che invariabilmente mutano i propri contenuti nei progetti architettonici. Il mio lavoro in Cina è di fatto sempre più influenzato dal genius loci.

 

D: Nel 2023, quali sono le tendenze del design che ritiene debbano essere prese maggiormente in considerazione in Cina?

 

Parlando di trend, Shanghai è una delle città più sofisticate del mondo e i marchi della moda ne sono ben consapevoli; la Cina, più di altri paesi, è in cerca delle cose più speciali e sofisticate e ha una spontanea curiosità per il design e la moda occidentali. Ne riconosce il valore, l’intelligenza progettuale, la bellezza. I trend non sono propriamente il mio lavoro: sono un ricercatore e un architetto maturo e non mi interessa seguire le mode passeggere. In questo momento storico credo che le urgenze siano altre. Conoscendo e frequentando Shanghai da molti anni, ed essendo in contatto quotidianamente con il modo accademico e con i diversi ambiti di business, ho molto spesso la sensazione che in occidente sia difficile capire la sofisticazione e le possibilità che questo posto è in grado di offrire.

 

 

Conclusione

 

Dall'intervista con la nostra icona Aldo Cibic, emerge chiaramente che la Cina ha molto da offrire, ma dobbiamo prima riconoscere il suo valore affinché la Cina riconosca il nostro e abbracciare l’uno la cultura dell'altro.

 

La nostra serie sulle aziende italiane in Cina continuerà a portare ai nostri lettori le esperienze e le conoscenze dei principali attori italiani nel mercato cinese, in diversi settori e dimensioni, continuate a seguirci!

 

A cura di: Avvocato Carlo D'Andrea, Vice Presidente della Camera di Commercio dell'Unione Europea in Cina