Per dimostrare di volere ancora gli investimenti europei, la Cina dovrà portare avanti un’autentica riforma del mercato
Ogni anno, la Camera di Commercio Europea in China pubblica il Position Paper, il documento principale della stessa che raccoglie centinaia di raccomandazioni volte a migliorare il contesto imprenditoriale per le aziende internazionali nei maggiori settori dell’economia cinese. Molte delle raccomandazioni contenute nell’European Business in China Position Paper 2020/2021 sono rimaste invariate dalle edizioni precedenti, una realtà che rende imperativa una radicale riforma del mercato cinese.
La pandemia COVID-19 ha scosso il mondo intero; primo paese ad imporre un lockdown drastico per contenere i contagi, la Cina si è in seguito distinta per essere la prima economia ad emergere dalla crisi. Sebbene il maggior shock economico si sia ripercosso sul primo ed il secondo trimestre del 2020, l’onda d’urto della pandemia rimane tutt’oggi senza precedenti, così come le interruzioni alle catene di approvvigionamento globali. Numerose aziende straniere, i cui dipendenti sono rimasti bloccati fuori dal Paese per circa sei mesi, hanno subìto un calo sensibile delle vendite e, di conseguenza, del fatturato. Allo stesso tempo, le tensioni commerciali che negli ultimi mesi hanno alimentato i timori di un “disaccoppiamento” (decoupling) dei mercati cinese e occidentale continuano ad allarmare le imprese europee, per le cui operazioni il mercato cinese è pur sempre vitale.
Mentre Pechino si avvia alla ripresa economica, occorre che la leadership cinese riconosca sia la partecipazione sia l’assiduità manifestate dalle imprese straniere attive da tempo sul territorio. Si pensi che dal sondaggio Business Confidence Survey 2020 condotto dalla Camera di Commercio a febbraio emerge che soltanto l’11% delle imprese intervistate afferma di essere disposto a considerare lo spostamento della produzione commerciale fuori dal Paese; per la maggior parte delle imprese straniere, insomma, la Cina rimane una delle tre principali destinazioni di investimento, un dato che si mantiene invariato in sondaggi più recenti presso i membri della Camera, indipendentemente dall’impatto del virus. Ciononostante, occorre che il governo cinese non dia per scontata la perseveranza esibita ad oggi dalla comunità imprenditoriale europea.
La realtà odierna dimostra quanto fattori di natura politica permeino sempre più l’ambito imprenditoriale, intaccando ripetutamente la fiducia degli investitori. Sebbene i leaders europei continuino a spingere per un maggiore impegno bilaterale UE-Cina, questioni politiche aperte come una relazione economica sbilanciata tra i due mercati, la presenza di campi di lavoro forzato nello Xinjiang e l’autonomia di Hong Kong destano preoccupazione tra gli elettori del Blocco. Questi problemi pesano come una spada di Damocle sull’UE e sulla Cina, le quali necessitano di un canale efficace tramite cui rafforzare una relazione bilaterale basata su reciprocità, prima che si chiuda la finestra di opportunità. Questo mentre la Cina raddoppia il sostegno politico per il settore statale, portando ad un’ulteriore biforcazione dell’economia interna che vede, da un lato, un mercato sempre più aperto e regolamentato per le imprese private e, dall’altro, l’incremento del potere monopolistico dei colossi statali, con cui è impossibile competere. Continuare su questa strada sarebbe un grave errore per una leadership che promette la liberalizzazione della Cina ormai da anni.
Il Comprehensive Agreement on Investments (CAI), l’accordo globale sugli investimenti, costituisce uno strumento chiave per ripristinare la fiducia delle aziende europee in Cina. Con la ripresa graduale dei negoziati dopo mesi di rinvio a causa della pandemia, i policymakers europei e cinesi devono prendere coscienza che un accordo CAI robusto e vincolante è più che mai necessario alla creazione di un contesto imprenditoriale che tutela l’investimento equo, a vantaggio di entrambe le economie.
La Camera europea è incoraggiata dal fatto che durante il recente vertice virtuale tra l’UE e la Cina, i leaders europei abbiano deciso di accelerare i negoziati e di spingere per un impegno più ambizioso da parte della Cina in materia di accesso al mercato interno, nell’auspicio di concludere il CAI entro fine anno. Il presidente della Commissione Europea von der Leyen ha ulteriormente sottolineato il bisogno di maggiore reciprocità nelle relazioni commerciali UE-Cina durante il Suo recente discorso di Stato dell'Unione. Al riguardo, più della metà dei membri della Camera di Commercio ritiene che le aziende cinesi godano di un migliore accesso al mercato Europeo rispetto alle aziende europee in Cina. Per il 44% dei membri, restrizioni d’accesso al mercato cinese o barriere normative sono alla radice di mancate opportunità commerciali che per molte imprese corrispondono ad oltre 10% del fatturato annuo. Ciò significa che un numero importante di investimenti non viene realizzato per via di una riforma del mercato cinese in continuo stallo.
Fortunatamente la Cina può ancora beneficiare dall’investimento diretto estero dietro l’angolo; il Business Confidence Survey 2020 rivela che il 62% dei membri intervistati si dichiara disposto ad aumentare i propri investimenti in Cina qualora fosse concesso un maggiore accesso al mercato interno. Ciò sarà vitale per la ripresa economica del Paese; dopotutto, le imprese straniere contribuiscono già in modo determinante alla crescita della Cina. A Shangai, per esempio, le imprese estere rappresentano circa un quarto del PIL, un terzo delle entrate fiscali, un terzo della produzione industriale e due terzi dell’import-export. È quindi facile immaginare gli afflussi di investimento di cui la Cina potrebbe godere se soltanto aprisse più settori di mercato alla partecipazione straniera, come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), mentre promuove la costruzione di nuove infrastrutture su scala nazionale.
Per accogliere la disposizione delle aziende europee di investire ancora nel Paese, la Cina dovrà dimostrare di volerle partecipi nel mercato interno. Sebbene la retorica politica sostenga una maggiore apertura dell’economia cinese, l’assenza di un reale accesso al mercato, restrizioni di mobilità e la disparità di trattamento tra aziende straniere e nazionali tradiscono una mancata sincerità da parte della leadership. Le ultime revisioni alla lista negativa per gli investimenti esteri (la cosiddetta Negative List) o il supporto per la terza China International Import Expo (CIIE) di Shangai non sono sufficienti a compensare né le crescenti richieste di una posizione più dura contro la Cina, né l’incertezza che affligge le aziende e gli individui europei nel Paese. Quello di cui gli investitori europei hanno bisogno sono segnali chiari e inequivocabili da parte della leadership che alla retorica di riforme di mercato corrispondano autentiche azioni sul campo. Le promesse non bastano più.